Sul mancato controllo dell’instaurarsi di prassi lavorativa scorretta e rischiosa
Sul mancato controllo dell’instaurarsi di prassi lavorativa scorretta e rischiosa
In tema di prevenzione infortuni sul lavoro il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta impartitegli, per cui ne consegue che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi “contra legem” foriera di pericoli per gli addetti, nel caso dell’infortunio di un lavoratore dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio o lesioni colpose aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche.
A una conclusione analoga era già giunta la stessa Sezione IV penale della Corte di Cassazione in una sentenza depositata in Cancelleria appena una settimana prima di questa in commento e cioè nella sentenza n. 23648 del 13 giugno 2024 (u. p. 6 marzo 2024), pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo ” L’obbligo di impedire l’instaurarsi di prassi di lavoro non sicure“. In quella occasione la sentenza aveva riguardato l’infortunio di un lavoratore dipendente di una azienda che era stato investito da una cassaforma in cemento armato movimentata da un mezzo meccanico manovrato proprio dal preposto, a carico del quale erano stati quindi ravvisati profili di colpa per avere consentito al lavoratore di issarsi sopra il manufatto per agganciarlo alla catena di una gru, seguendo così una metodica di lavoro in contrasto con qualsiasi regola di prudenza, stante il rischio di ribaltamento, ed espressamente vietata dalle prescrizioni datoriali. In questa circostanza invece l’evento ha riguardato l’infortunio di un lavoratore rimasto schiacciato da un miniescavatore ribaltatosi lateralmente, nel mentre si stava provvedendo a caricarlo su di un mezzo, avvenuto a causa di una rampa non idoneamente fissata allo stesso, seguendo una prassi “contra legem” contraria alla normale procedura prevista per l’effettuazione di tale operazione.
Assolti dal Tribunale il presidente del CdA della società che gestiva l’azienda nonché il vice presidente, responsabile tecnico dell’azienda stessa, avendo il giudice attribuito l’accaduto esclusivamente al comportamento dei lavoratori durante il carico del miniescavatore, gli imputati sono stati invece condannati dalla Corte di Appello, che aveva attribuito l’accaduto a un mancato controllo di tale comportamento, e si sono poi visti rigettare anche il successivo ricorso alla Corte di Cassazione con il quale avevano chiesto l’annullamento della sentenza di condanna.